ADDIO  MIA  CARA  TRIPOLI…SUOL  D’AMORE  E  RICORDI  INDELEBILI

 

 

Ottobre 1956, il Corriere di Tripoli, in una delle sue note, titolava: VECCHIETTINI  CI  LASCIA, perciò, nella mattinata, mentre i miei genitori procedevano a chiudere i bagagli, volli fare la mia ultima apparizione sul nostro Corso e, punto di fermata d’obbligo, “Da Girus” dove gia si stavano riunendo Lambrettisti e Vespisti della Zahma o nostro foltissimo gruppo d’amiche e amici che mi aspettavano per abbracciarci per, quasi sicuramente, l’ultima volta, perché la meta che aveva fissato mio Padre era l’allora lontanissimo Venezuela, dopo un breve passaggio per l’Italia, ambedue Nazioni a me sconosciute fisicamente.

Appena giorni prima avevo partecipato alla chiusura delle attivitá acquatiche, la Traversata del Porto, ero salito per l’ultima volta sul ring e mi aveva arriso il risultato della penultima prova motociclistica, La Rosa del Deserto, nella quale risultai vincitore assoluto di tutte le categorie e saltato al primo posto della classificazione generale. Il “delfino pugile” come ebbe a definirmi il giornalista Aldo Bertuzzi lasciava la sua Cittá, la sua bellissima cittá, dove era cresciuto, fin da bambino, profugo dell’ultima ritirata Italiana dalla Cirenaica, nella cui Beda Littoria sono nato del Gennaio 37.

In questione di pochi minuti il Corso s’intasó perché divisato io da automobilisti, motociclisti, scooteristi e ciclisti, tutti vollero darmi quell’ultimo abbraccio che ancora oggi conservo caro come un tesoro nella mia mente di quasi settantenne.

Due sere prima, in Concessione Finocchiaro, il Cavaliere e Signora e la loro cara Famiglia, mi avevano offerto una formidabile cena alla quale parteciparono anche i più stretti amici del nostro Gruppo. Era l’addio che mi dava il Presidente del Circolo Italia ma allo stesso tempo una specie di secondo Papá, ruolo che in forma naturale adempiva come genitore dei cari amici Bruno e Marisa e del piccolo “saltamonte” Fausto.

A quell’addio passando da un abbraccio a un’altro, ricordo tante belle frasi e tanti occhi umidi, anche quelli del voluminoso e apparentemente burbero Gigi Girus che, stringendomi forte a lui mi disse con un soffio di voce emozionata: Ei, guaglióoo, mi raccomanno porta in alto il nome della nostra Tripoli...”

Pranzo in casa Moggia i cui componenti erano come zii e cuginetti da sempre, poi gli ultimi abbracci e baci...con il cuore in gola, quindi al Porto, per prendere la motonave che ci avrebbe portato in Sicilia e poi da lí, una quarantina di giorni percorrendo l’Italia con la nostra “janguard grigia” con la targa i arabo che richiamava folti gruppi di curiosi ogni qualvolta ci si fermava lungo il tragitto e poi da Genova verso il Venezuela.

L’ultima immagine di Tripoli, della mia indimenticabile Tripoli, scusate, della nostra Tripoli, é questa che allego, ripresa mentre la nave stava uscendo dal Porto, quel porto che tante volte avevo attraversato a nuoto, e che si allontanó piano piano e per sempre.

Tanti amici in barca si accostarono alla motonave sventolando fazzoletti o agitando le loro braccia, tutti con il cuore in gola, mentre io, affacciato al parapetto del naviglio, con la vista sfuocata dalle lacrime e la testa sconvolta come in preda a una sbornia, fui assalito dall’idea di saltare in mare...ma Mamma e Babbo lo intuirono...e si strinsero a me affettuosamente, mentre Alberto, il mio fratellino piangeva silenzioso.

Si allontanava da me la vista di quel magnifico Lungomare, il Castello, il Grand Hotel, il Circolo Italia e la sua vicina Piazza Gazzella, l’Uaddan, l’Hotel Mehari, e soprasaliente la cupola della Cattedrale e il suo alto Campanile, le cui campane avevo aiutando a suonare tante volte.

Ricordi di tutta una vita di piú di 19 anni, scorrevano velocissimi per la mia mente, ricordi di tante cimentazioni sportive, di belle fanciulle...giovani e non tanto..., di grandi cacciate alla lepre e pernici,  prolungate pescate subacquee, applausi dei tifosi, compagne e compagni di studio, Professoresse e Professori che unanimemente mi dichiaravano “terribile”; scazzottate con Inglesi e Americani invalentonati da qualche “drink” di più, i ricordi dei bombardamenti degli ultimi tempi di guerra, e il frastuono delle batterie antiaree, i nostri soldati e poi quelli nemici, insomma, centinaia di ricordi, lontani e vicini, si avvicendavano nella mia mente, come spezzoni di film, disordinati, belli e brutti; i grandi palmeti, le enormi dune, il vento del ghibli, i trasparenti fondali marini, il tam tam dei tamburi, il dolce leghbi, il profumo e sapore del Cuscus, dei dolciumi locali, gli sconfinati campi di grano e orzo ondeggiando con il vento, il profumo di pane della Dahra, il caldo pane d’orzo con tonno e harissa, pietanze ebree e arabe, i dolci datteri di tanti tipi diversi, le semenze di zucca, le noccioline, mandorle, il the nelle sue quattro porzioni, enormi vigneti, centenari ulivi, aranceti, mandarini squisiti, le sbule di granturco, i fichi d’India gelati, le delizie lattee di Girus e della Triestina, le paste di Campi; Suck el Turk e Suk el Mushir, i dromedari, le veloci gazzelle, sarcastiche iene, la caldissima Azizia, il fresco Garian a volte con

la neve, i tanti villaggi agricoli veri giardini nel deserto, i pozzi artesiani, le mabruche con il baracano e lo spiraglino che permetteva a un solo occhio alla volta guardare, la Hara, Cittá Vecchia rione ebraico dai centinaia di anni,  le moschee e il richiamo dei muezzim, il martellio degli artigiani arabi, i cinema estivi all’aperto, tantissimi ricordi che sfilavano a velocitá incredibile per la mia mente, mentre Tripoli e poi la costa Africana si faceva sempre più piccola...fino a sparire........per sempre.

Ogni tanto, rinvigoriti i ricordi dal nostro “salotto” di “conkabiliani”  figli del deserto, chiudo gli occhi e rivedo tutto ció che qui ho ricordato...e moltissimo, moltissimo in più, eppure, non furono poi tantissimi anni........ma il Mal d’Africa sembra sia incurabile.

 

Franco Vecchiettini