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Guido Angelini

 

 

Da qualche mese (marzo u.s.), all’età di 91 anni, ci ha lasciati il Maestro Angelini. A Tripoli, era una istituzione: chi tra di noi della collettività non ha mai avuto a casa un pezzo dei suoi tanti capolavori? Nella sua infinita esperienza, ha saputo mescolare i motivi arabo-berberi con quelli del novecento europeo dando vita ad una collezione di pregevole fattura più unica che rara.

 

Guido Angelini era nato nel marzo del 1908 a Bellaria, figlio di gente che lavorava gli orti e vivai nelle campagne vicino al suo paese natale; frequentò la scuola di Arti e Mestieri a Rimini, applicò le sue capacità manuali lavorando alla morsa, in fucina e al tornio. A 16 anni, a Napoli, vinse una gara di “aggiustaggio” che realizzò solo in due ore rispetto alle sei impiegate da altri ragazzi. Divenne, infine, cesellatore nonché creatore e coniatore di monete.

 Guido  Angelini si dedica ancora giovanissimo all'arte della liuteria e nel frattempo tenta, da autodidatta, piccole eperienze di lavoro a sbalzo.

 Nel 1936 , assieme al prof. Remo Luca, notissimo e brillante orafo viene chiamato a Tripoli da Italo Balbo, in qualità di assistente alla nascente Scuola Orafi  di cui poi diventerà direttore

durante tutto il periodo della guerra,cerca con ostinazione di salvaguardare la Scuola e riesce finalmente negli anni cinquanta a portarla ad un livello di alto prestigio, tanto che molti oggetti in oro 22kt figurano nelle collezioni private di Reali e personalità politiche del Mediterraneo, America e Inghilterra

Contemporaneamente lo attira  moltissimo la scultura e vi si dedica creando delle deliziose e raffinate piccole figure in oro, argento e avorio.

La sua esperienza di orafo gli consente di realizzare senza difficoltà l'intino desiderio di esprimersi o commentare avvenimenti , situazioni e stati d'animo.

Nel periodo trascorso in Libia si impegnò a sviluppare la scuola di Orafi e Argentieri di Tripoli e ad insegnare ai giovani arabi il mestiere; connubio che si interruppe nel 1970 quando, con l’avvento di Gheddafi, l’intera comunità italiana dovette rientrare in Patria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

STORIA DELLA SCUOLA ORAFI E ARGENTIERI DI TRIPOLI

 

Nel 1935 a Tripoli è nata la scuola Orafi e Argentieri ordinata dal Governatore Italo Balbo, nel 1936 è inquadrata nell’istituto per l’artigianato in Libia. Direttore il prof. Remo Luca, assistente lo scrivente, nel 1937 il prof. Luca ha lasciato l’incarico per trasferirsi a Roma. La direzione della scuola è stata affidata al sottoscritto, e fino al 1940 ha funzionato per il meglio. Durante il conflitto, vicende alterne ne hanno rallentato l’attività, con l’arrivo degli inglesi è la fine. I locali sono stati occupato dal comandi di polizia. Dopo aver raccolto quanto non serviva agli occupanti, chioccia e pulcini si sono trasferiti nei locali della prima ex scuola (in privato?, locali che per puro caso erano liberi, perché precedentemente erano occupato per la casa del soldato tedesco. L’incaricato delle scuole italiane era un ufficiale inglese di madre fiorentina; per sei mesi circa ha parlato solo tramite l’interprete, era chiara l’impressione che non conoscesse le più elementari parole italiane, Forse voleva rendersi conto cosa pensavamo di lui.

Una bella mattina si è presentato in ufficio senza l’interprete , accompagnato solo dal suo lupo; ha parlato con tutti in perfetto italiano. Da quel momento, dato il buon esito dell’esame tutto è stato piu’ facile,

Conosciuta la storia della scuola orafi, ha stanziato ventiquattro sterline al mese, fra stipendio affitto, luce, gas e materiali occorrenti. C’era da stare poco allegri, c’è voluta tutta la mia testarda volontà di rinascita per resistere a quelle condizioni. Col tempo la scuola è passata al  Ministero Africa Italiana , poi sussidiata e infine in proprio. Dopo la scoperta del petrolio è cambiata la situazione economica, la scuola ha potuto svilupparsi con opere che vedremo in questa raccolta.

LaLibia nella sua storia ha subito diverse dominazioni straniere, nessun governo d’occupazione ha sovvertito le aspirazioni di libertà professionali. Il fabbro non ha cambiato mestiere, come pure il falegname, il tessitore, il sarto, il ricamatore e così via; queste attività servivano alle città e ai villaggi dispersi nel deserto. Dal 1969 è avvenuta l’ultima occupazione da parte delle rivoluzione. Sono finiti i profumi delle spezie nei Suk, la gioia del turista di assaggiare un caffè turco offerto dall’uomo dei tappeti. Il bottegone del governo fa tutto da solo.

                                                                                               ( Guido Angelini)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ARTISTA ITALIANO IN LIBIA

Ho conosciuto Guido Angelini a Tripoli più di cinquanta anni oro sono. Allora nel 1936 prestavo servizio presso il secondo squadrone Savari. Angelini invece, era una persona già molto nota nel  relativamente ristretto ambiente di Italiani a Tripoli.

E’ difficile, a distanza di tanto tempo, rievocare l’atmosfera che l’attuale capitale libica presenteva a quei tempi, Dirò che, a prima vista, appariva come una città giovane, allegra, colorata, piena di progetti e di speranze. Ogni giorno sembrava portare con sé qualcosa di nuovo e, spesso qualcosa di eccitante. Era in corso si esecuzione il grande progetto della via Balbia; e in costruzione la rete di alberghi dell’ETAL. Stava sorgendo il quartiere di Suk El Muscir . Villaggi agricoli nascevano in zone desertiche e della costa.

Angelini ha rappresentato una parte molto importante nel mondo culturale della nostra ultima colonia. Scultore di formazione, nella tradizione più classica della nostra terra, egli si è dedicato a lavori di oreficeria e di argenteria, sviluppando ed affinando con gli anni la tradizione artistica locale e cercando di pervenire ad una sintesi fra i motivi antichi di origine libica e l’arte classica italiana. Nel piccolo ambiente artistico e intellettuale della Tripoli di allora . Angelini mostrava già una personalità spiccata ed era molto noto; tanto che un giovane tenente dei Savari,<quale ero io, poteva cercare un contatto e uno scambio di vedute con lui.

Angelini operava allora presso la scuola orafi ed argentieri, istituita a Tripoli nel 1935, scuola di cui assunse la direzione nel 1937. Tale direzione egli mantenne fino al suo rientro in Italia.

Ritornai a Tripoli nel 1949 quale rappresentante del governo Italiano: e cioè quale primo funzionario della metropoli che, dopo la seconda guerra mondiale, si recasse ufficialmente in quelle terre, valorizzate da noi.

L’ambiente, l’atmosfera, le cose stesse erano molto cambiate : La guerra l’occupazione militare alleata, la stessa provvisorietà dell’amministrazione britannica, avevano pesato sulle prospettive del futuro. La città ed i suoi abitanti sembravano uscire con difficoltà da n periodo grigio e logorante.

Nelle sue pagine lo stesso Angelini rievoca, del resto questo tempo di avvenimenti drammatici e di profonda incertezza. La Tripolitania del dopo guerra si presentava come una società irrequieta ed incerta soprattutto se confortata con quella che avevo conosciuto nel 1936.

L’Opera che Angelini aveva svolto, era tuttavia continuata ed aveva dato i suoi frutti, sia dal punto di vista di nuovi elementi, idonei a portare avanti quanto era stato loro insegnato, sia dal punto di vista di un arricchimento dell’espressività congiungendo armoniosamente elementi sia italiani che locali.. Basta scorrere il catalogo delle opere dell’Angelini per renderci conto della continua ed interessante evoluzione della sua arte e per comprendere quanto essa abbia di originale ed esemplare.

Lasciai Tripoli poco dopo che essa raggiunse la sua indipendenza (fui infatti il primo incaricato d’affari italiani presso il Governo di Idriss El Sedussi) .

Con l’indipendenza libica si aprì un periodo nuovo, anche se breve, di intesa collaborazione italo-libica; periodo che portò ad un nuovo fiorire di iniziative.

La presenza di Angelini a Tripoli f particolarmente significativa proprio in quegli anni anche perché esprimeva, quasi simbolicamente la possibilità e la fecondità di un legame fra le due culture, italiana e araba. Questa esperienza è stata bruscamente interrotta. Credo che le parole dello stesso Angelini possano indicare quanto grave e drammatico fu  per lui abbandonare una terra, cui aveva dato tanti anni di lavoro passione e sacrifici. Vorrei soltanto aggiungere che sono convinto che, al di là degli alterni avvenimenti di questi ultimi decenni, i rapporti fra italiani e libici sono imposti ad ambedue i nostri popoli dalla storia e dalla geografia; e che una nostra collaborazione con la Libia non può non andare nel senso di una tradizione, ancor più che secolare, millenaria,

In questa storia di indipendenza fra le due culture, la figura di Angelini rimarrà certamente. Come essa rimarrà senza dubbio e concretamente, nell’opera e nell’animo degli artisti e degli orafi libici, che non potranno non ispirarsi agli insegnamenti ricevuti da un rappresentante così tipico e così sensibile della nostra arte.

                                                                                                                                                     Dall’Ambasciatore Roberto Gaja

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La scultura di Guido Angelini si presenta come il frutto di un dominio pieno della materia sensibile, di una efficacie elaborazione delle correnti del vivente, il tutto filtrato attraverso una sapienza che è come l’intima espressione della corrente figurativa italiana particolarmente rivelatesi nelle opere del rinascimento.

Frutto interiore divenuto quindi esperienza profonda, colta ed intima saggezza e perizia di artefice, ma in una gamma  in cui la maestria della tecnica è superata dalla grazia innata, ove si possono forse rintracciare residui dell’eleganza  decorativa dell’orafo, quale il nostro artista è, ma riscattati e completamente risolti in valore estetico.

Tutto questo, però, proprio perché l’opera dello scultore Angelini rappresenta un estremo e notevole  sviluppo della cività figurativa rinascimentale della più pura tradizione mediterranea, non è  che il fondamento ed il presupposto.

In ogni singola scultura ciò che si eleva come il compimento e la risoluzione sintetica delle qualità precedentemente presentate, è dato dalla purezza e della mirabile linearità con cui il sensibile riceve la sua idealizzazione nella forma, che ha così la semplicità delle cose grandi, l’aura archetipica dell’assunzione totale nel cielo dell’arte.

La superba assolutezza. Pur nelle ridotte proporzioni delle sue figure, ha qualcosa di sorprendente e il commovente, rarissimo nel nostro tempo, e fa pensare ad una discendenza del più puro  Cellini, dal Cellini dell’eleganza aerea e della apollinea misura del “Perseo”, ad un collegamento ideale con l’euritmia del “Mercurio” del Giambologna, con l’essenziale levità di Maillol, con l’arcana purità di Messina.

Con ciò si è già risposto all’eventuale obiezione che si potrebbe fare a queste righe, cioè di sciogliere lodi ad un sapiente ed elegante classicista, ad un ripetitore, sia pure molto dotato, di una maniera antica ed ormai superata dalla esperienza plastica della modernità.

Infatti Guido Angelini si rileva una artista moderno per la purezza archetipica, per la intensità essenziale, con cui il sensibile è insferato nella dimensione dell’idea, per l’ansia metafisica di pervenire ad una regione di valori puri, in cui inserire l’esperienza della terra, persino per la sottile vivacità ironica con cui è colto il rapporto tra momentaneo e permanente, tra attimo ed eternità. E’ veramente cosa stupefacente, e forse più consapevolmente da ascrivere, da un lato alla situazione di oscurità, di confusione e di tormento in cui si trova la ricerca artistica contemporanea e, dall’altro, alla singolare e francescana umiltà dell’artista (prova della sincerità della sua ispirazione), il fatto che uno scultore di tale statura sia potuto rimanere ignorato fino ad oggi.

                                                                                                                                                                  (Alessandro Sbardelli)   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Libia non ha una figura che la rappresenti;è anche logico perché paese musulmano. La medaglia dell’aquila bicipite magiara di Francesco Giuseppe d’oro fino, è la sovrana fra tutte, non escluse le turche anch’esse belle.

Parlando confidenzialmente con i giovani impiegati del governo libico, questi mi hanno accennato al fatto che la magiara è si una bella medaglia, ma quella crocetta sopra lo stemma stona in un paese musulmano. Inoltre mi suggeriscono un avvenimento storico allo scopo di indicarmi un motivo per una medaglia studiata e stampata in Libia. Ho creato così la figura di donna, dal portamento austero e superbo, che impersona il tema suggerito. Sul retro, una scritta che ricorda l’indipendenza libica.

Non viene accettata dai libici per motivi religiosi, nel contempo è un vero successo per i non musulmani.

Alla mostra dell’Angelicum di Milano è premiata con medaglia d’oro nell’anno 1953

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dono del Sindaco Caramanli al Re Hassan del Marocco in vista a Tripoli

a

 

Nell'ottantesimo anno di età Angelo Lugli è stato festeggiato da familiari, collaboratori ed amici. Al ristorante "Le lanterne" a Tripoli una cena in suo onore e un dono. Che fare per un orologiaio, intelligente, simpatico e stimato da tutti? Non poteva mancare un quadrante d'orologio, un pendolo. Il cavallo,tranquillo trottatore. è l'indice di un ritmo che tende a misurare il tempo con assoluta precisione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Da poco trasferito a Tripoli, nel 1936 ho dedicato a mia mamma la prima opera in avorio.Ancora oggi non so perchè nella mia mente sia maturata l'idea di realizzare un'opera cosi' diversa dalle normali presentazioni fra madre e figlio. La mia vita così diversa da quella vissuta in Italia mi sembrava un sogno;ogni sera all'ora del tramonto, dallo spalto del castello un colpo di cannone salutava il giorno. Per un minuto il movimento della città si fermava, i vetturini in piedi sulle carrozze fermi come statue, i cavalli che sapevano tutto si fermavano di colpo. Sembrava una preghiera di ringraziamento alla luce del giorno che dolcemente si spegneva per cedere il posto alle ore di riposo. La mia famiglia lontana, gli amici, mia madre che accarezzava un figlio invisibile, sono certamente la spinta per realizzare il piccolo manufatto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mentre attendevo i miei allievi per l'inizio delle lezioni contemplavo quanto vi era di bello e di vetusto innanzi al mio porticato:o. Di fronte un fonduco semi abbandonato;un fabbro vi aveva la bottega; il canto dell'incudine come segno di vita si perdeva nell'aria. A sinistra il sole illuminava tutto. Asserragliata fra le vie, una piccola moschea sempre chiusa (forse era il ricordo di un passato ormai lontano) racchiudeva in sè il mistero del culto, il rispetto dei viventi; era però ben vestita di bianco; una perfetta sintesi di purezza e semplicità poetica. Fra le genti che al mattino passavano innanzi, una bimba non ancora adolescente, vestita e pettinata con cura, camminava svelta verso la scuola. Ho modellato la presente testina ispirandomi alla semplicità di quella figurina, che nel migliore dei modi presentava l'innocente purezza ancora lontana dall'inevitabile avventura della vita. Oggi dopo tanti anni, ella mi presenta la mia Africa, perduta per sempre non solo per me, ma per tutti. Girandomi a destra l'Arco di Marco Aurelio, sebbene il marmo fosse corroso dal tempo, l'architettura romana era ed è ancora un grande insegnamento; più avanti la Moschea di Gurgi, dal minareto altissimo come freccia, sembrava muoversi alla conquista del cielo. Le case della vecchia città, la via dei forni, le botteghe di tutti i generi, erano il vero paradiso di un piccolo mondo, che nessuno sapeva di possedere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fra i lavori prodotti dai nostri laboratori, questo candeliere vuole rappresentare il simbolo vegetale della Libia, la palma. Non sarebbe stato possibile uno studio del genere, se antichi monili tuareg (oreficerie del deserto) non fossero esistiti: Ma fin quando si troveranno questi reperti? i vecchi pregiati manufatti ridotti in rottame per logorio causato dalle sabbie, vengono fusi e non più ricostruiti perchè troppo laboriosi. Negli ultimi tempi, noi abbiamo riprodotto qualche elemento e sottratto alcuni pezzi al crogiolo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella storia del genere umano mancava la Dea del cinema. Eccola! -una pellicola nasce fra i cappelli per uscire nello spazio alla conquista del mondo.

 

 

 

 

 

Lo stemma è un augurio per la prosperità del lavoro, cui ha sempre attinto il popolo italiano, in patria e sulle strade del mondo. L'opera -in oro cesellato a sbalzo - è stata eseguita nel 1935

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nei giorni delle sommosse degli arabi contro gli ebrei, abitavo nei pressi della cattedrale di Tripoli; come in altri tempi udivo le campane e il lento suono dell'Ave Maria, che dal campanile si perdeva lontano nello spazio desertico e del mare. Era un lamento di dolore che annunciava la notte, le ore più tristi e prive di ogni luce. In quelle tragiche notti lunghe a non finire ho inciso il volto di una donna alla quale ho cercato di imprimere il mio disappunto:<Chi più di una madre può rappresentare l'espressione dolorosa per la perdita dei figli, non solo suoi?

 

 

 

Sebbene la mia nuova Tripoli fosse piacevole, un pizzico di nostalgia della mia Romagna era presente come in questa muliebre figurina in avorio, dove traspare atmosfera musicale; infatti sono parzialmente visibili un arco e un violino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Araba bianca - così definita perchè d'avorio Non si esclude che le arabe siano state bianchissime, specie in Libia. Quello che interessa sopratutto è il modo disinvolto e morbido in cui si adagiano sul cuscino . Ciò denota un atteggiamento abituale che è proprio di quella gente. Un bracciale a fascia, gli orecchini, le ciabatte presentano le loro abitudini di vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel tempo del conflitto, un pensiero era sempre presente nella mia mente:la non violenza.Gesù mi appariva come una stella caduta sulla terra.

Ho eseguito l'opera in avorio, la croce su ebano e su di essa un brillantino. La materia più nobile conosciuta dall'uomo, fa da ornamento a questa piccola opera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Verso la fine del conflitto, la vita si risvegliava quasi dimentica di tante tragedie (forse era giusto così) ma io ero turbato, sentivo il bisogno di ricordare "vittime e superstiti":Ho modellato in cera e riprodotto in argento cesellato (forse) il più piccolo monumento ai caduti in guerra: E' alto 9 cm. Il prof. Giovanni Aliquò, in missione quale commissario d'esami a Tripoli (era il 15 ottobre 1951) cosi' ha sentito è scritto:

Mater dolorosa di Guido Angelini.

L'opera è una perfetta intesi degli avvenimenti politico sociali. La donna, mutile, trae, nella sinistra mano, a simbolo di  un retaggio, un elemento da campo, ultimo ricordo di un lontano ma profondo vincolo d'amore, mentre nella destra spalla scende sottile ravvolto un velo che copre la mutilazione e al qual si abbarbica un bimbo mutilo anch'esso, con le dita scarne e sottili delle mani affondate nelle membra ancor fresche di lei; chiede fora protezione e amore. Il gruppo simboleggia il martirio del combattente e dell'inerme e dell'innocente colpito ugualmente dalla bufera ed esprime nella donna, dalle sembianze vigorose e dolci ad un tempo, l'umanità che faticosamente trascinando il fardello delle proprie colpe cerca, spera l'avvenire. questo sforzo è magnificamente espresso in quella linea ideale che partendo, inclinata, dall'estremo lembo dell'elmetto, passa sul teso braccio e prosegue fino al campo disteso e mirante il cielo. Tutto un movimento pervade le membra della donna, la quale sembra sollevi l'umanità caduta e perita e quella affranta e sopravissuta come per indicare che la vita continua. Il bimbo è questa la vita; esso non ha la mamma infatti è mutilo, ma ne trova un'altra che lo raccoglie, lo difende . Non è chiusa nel suo dolore perchè è confortata dalla giovinezza vibrante nelle membra ancora leggiadre e nella speranza che spira dallo sguardo. E' una composizione veramente epica che l'artista ha vissuto, vi è la guerra con i suoi orrori e olocausti, l'amore materno e civile, la speranza che anima e perpetua la vita e spinge l'umanità a proseguire avanti  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dono a Re Idris I in oro stile Tuareg foderato internamente con pelle sudanese, dono dei musulmani della Cirenaica

 

 

 

 

 

 

 

 

Nell'ultima guerra fra Israele e l'Egitto la città di Tripoli era paralizzata per lutto. Io mi sono chiuso in laboratorio. Meditando sull'accaduto e su quello che è la vita nel mondo, mi è venuto spontaneo di pensare che in quel momento c'era chi nasceva e chi moriva, chi rideva e chi piangeva e chi, potendo, voleva stare in pace. E' nata l'opera dalla punta di una zanna d'avorio che l'amico Antonio Ghirandelli interpretava così:

Sabbie roventi

bevono il sangue

di genti pazze

che fanno la guerra

Ben altre sabbie

io vo cercando

sotto il sole di altra terra

In faccia al mare

sabbia dorata

sotto la brezza di sciroccale

In mezzo a gente

che sosta in pace,

lontan dall'odio,

lontan dal male.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo l'ingiustificata cacciata degli Italiani dalla Libia, è nata una medaglia ricordo che si ispira a Don chisciotte  della Mancia; con la sola differenza che il novello Don Chisciotte è tutt'altro che un cavaliere errante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Era allo studio uno stemma con pietre preziose per la casa reale;provvisoriamente era in uso lo stemma della città di Tripoli. La caravella, più la corona, rami di olivo e di quercia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Medaglia d'oro (unico esemplare) eseguita per una gara di velocità, sul giro, della pista sopraelevata in cemento di Tripoli: Antonio Maspes ha vinto e battuto il record.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fra i tanti lavori eseguiti a Tripoli, mi fa piacere ricordare il dono che l'ambasciatore d'Italia Pierluigi Alverà ha ordinato per onorare l'opera del primario dell'ospedale dr. Domenico Cicogna. La cerimonia si è svolta nella sala del teatro Uaddan. Il dr. Cicogna ha tenuto una conferenza sul tema "la conquista della cardiochirurgia". L'ambasciatore Alverà ha esteso un elogio a tutta la classe medica, che opera in Libia con grande professionalità e senso del dovere, ha ricordato gli operatori di tutti i settori e gli artisti, famigli alla quale lui stesso appartiene. Il giornale di Tripoli del 17 ottobre 1963 ha dato ampio spazio all'avvenimento pubblicando anche la foto della consegna del dono la "Minerva d'oro"

 

Danzatrice del caffè orientale di Suk El Muschir a Tripoli. Gli spettacoli erano organizzati per i turisti. Le ballerine erano di scuola orientale, nelle movenze portavano una nota esotica molto apprezzata dai turisti.
Il medaglione è uno studio illustrativo della vita operaosa e pacifica in Libia, fino al 10 giugno 1940. Gli anelli che coronano la testa, rappresentano la feconda collaborazione fra i libici e tutte le comunità cola residenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La medaglia ha un diametro di mm. 40 . E' caratterizzata da una originale corsa di cavalli che si snoda in cerchio intorno ad una elegante iscrizione in arabo, attestante lo studio e la realizzazione in Libia. Sul retro un'altra iscrizione ricorda uno dei principi fondamentali della cultura: "L'arte è l'espressione universale per l'unione dei popoli" Questo messaggio voluto da Guido Angelini vuole ricordare il valore e l'importanza che hanno tutte le attività umane, tese alla ricerca dei valori eterni di ogni manifestazione artistica. La scelta e la cura dell'esecuzione, di questa piccola ma pregevole opera nasce dal desiderio dell'autore di esprimere la sua fiducia e il suo rispetto alla cultura araba. L'approvazione da parte del pubblico, data dalla felice sintesi del motivo dei cavallini e dell'iscrizione, morbidamente fusi in un sottile ma corposo bassorilievo, è la testimonianza do un felice risultato, che soddisfa chi desidera un ricordo tipicamente libico.

 

Architetto Giovanni Ioppolo, Archeologo

Tripoli 1965.